il pulcino Greta e il cielo che ci sta crollando addosso

Risultati immagini per greta thunberg time

Psicologia del climate change: perché non tutti comprendono cosa sta succedendo al pianeta?

Greta Thunberg è persona dell’anno 2019 secondo il Time. Eppure in tanti la odiano. Viene attaccata per come è e per quello che dice. Valanghe di odio le vengono riversate addosso con lo scopo di distruggerla, di metterla a tacere. Ovviamente, per fortuna, non ci sono solo odiatori ma anche molte persone che tendono ad abbracciare la causa per arginare il cambiamento climatico. Ma perché non tutti comprendono cosa sta succedendo al pianeta?

Tanti hanno provato a spiegare le ragioni e probabilmente la realtà, che è sempre complessa, ne contempla diverse. C’è chi dice che è invisa alla cultura patriarcale in quanto donna, con l’aggravante di essere pure giovane. C’è chi dice che è manovrata dai poteri forti che avrebbero deciso di ribaltare l’economia mondiale a favore dell’industria green (con lo zampino del filantropo Soros, come sempre in questi scenari).

Anche la psicologia ha cercato di dare delle risposte per provare a spiegare perché c’è tanta resistenza verso coloro che, come Greta, cercano di attirare l’attenzione sul problema del climate change. Di seguito proverò a fare una sintesi seguendo due piste: una di carattere sociale, che analizza i fenomeni collettivi, e l’altra di carattere individuale, che equipara il “climate change” ad un qualsiasi evento traumatico.

Come suggerisce Ira Brenner, psicoanalista e psichiatra, Greta potrebbe essere diventata il pulcino della storiella “Chicken Little”, nota nella letteratura fiabesca americana. Chicken Little venne preso dal panico quando, zampettando nel prato, una foglia cadde sulla sua coda. Il piccolo pollo interpretò quell’evento come segnale di catastrofe imminente, così iniziò a dare l’allarme al grido “il cielo sta cadendo!”. Ovviamente questo agitò tutti gli animali del bosco che cominciarono a correre in preda al panico, in maniera confusa e disorganizzata. Conclusione? Distratti e con le difese basse finirono tutti mangiati dall’astuta volpe. Il povero protagonista di questa favola è diventato per la cultura americana il classico “pollo”, ossia una metafora di chi si fa prendere dall’isterismo per un pericolo fantasticato e imminente, diffondendo il panico nella società.

Brenner fa notare che una dinamica di questo tipo se dovesse essere diffusa su larga scala potrebbe portare al tracollo della civiltà, pertanto l’isteria di massa rappresenta un enorme rischio che i governi cercano di evitare. Accade così che gli allarmisti come Chicken Little, oppure Greta secondo il mio punto di vista, finiscono per essere screditati con attacchi personali alla loro stabilità mentale ed emotiva in modo da oscurare il pur minimo seme di verità che si nasconde nel loro messaggio. Questo meccanismo è stato applicato dai cinici e dagli scettici verso Al Gore nel 2006 a seguito del suo documentario di denuncia ambientale “An Inconvenient Truth”. Per buona parte dell’opinione pubblica Al Gore era affetto dalla “sindrome del Chicken Little”.

Se i governi scongiurano il collasso collettivo screditando i catastrofisti, su questo solco si inseriscono i soggetti che hanno interessi economici affinché si continui ad operare in barba ai più elementari correttivi che riducono gli impatti ambientali. Anche involontariamente si crea una connivenza tra coloro che guadagnano nel mantenere lo status quo e la politica che cerca di rassicurare gli animi dei cittadini.

Il filone che prende in considerazione le dinamiche psicodinamiche individuali suggerisce che la previsione di estinzione di massa a cui il pianeta starebbe andando incontro genera un trauma nelle nostre coscienze. La conseguenza è che, come avviene per altri eventi traumatizzanti, la nostra psiche attiva dei meccanismi di difesa per proteggerci dall’angoscia derivante dalla paura di perdita e distruzione.

Harold Searles ha cominciato a scrivere del rapporto tra psiche e ambiente già nel 1960 quando incombeva la minaccia atomica e la potenziale distruzione del pianeta. Secondo Searles le comunicazioni sulla crisi ambientale possono suonare moralistiche e di conseguenza riportare l’essere umano ad una dimensione colpevolizzante tipica del periodo cosiddetto pre-edipico. I messaggi di allarme diventerebbero accuse che ci chiedono di “abbandonare il nostro stato genitale duramente conquistato, simbolizzato dalle amate automobili, e ritornare ad uno stato infantile, quando la primazia genitale era ben lontana dall’essere guadagnata; la nostra apatia (verso i temi ambientali) includono un rifiuto inconscio a fare questo” (Searles, 1972).

Nei successivi scritti, Searles ha sostenuto che l’effetto traumatizzante delle catastrofi ambientali porta ad una regressione ad epoche dell’infanzia nelle quali l’angoscia di perdita è stata esperita indistintamente da ogni essere umano. L’idea di Searles sarebbe in linea con il processo evolutivo teorizzato da Melanie Klein, in base al quale i bambini alternano costantemente percezioni di massima gioia nel sentirsi accuditi e appagati nei loro bisogni ad altre sensazioni più traumatiche, dovute all’impossibilità di avere il controllo assoluto sull’ambiente nutritivo, soprattutto quando si verifica una momentanea indisponibilità del genitore accudente.

Secondo la Klein, i primi anni di vita si caratterizzano per due fasi: la schizoparanoide, collocabile nei primi mesi, e la posizione depressiva che emerge successivamente. Tralasciando qui quali sono le caratteristiche di questi stadi per i bambini, passiamo alla traslazione operata da Searles.

Nell’assumere la posizione depressiva le persone sovrappongono le fantasie idealizzanti che contemplano il pianeta in buona salute all’immagine nostalgica del mondo accudente dell’infanzia ormai irrimediabilmente perduto, quello di cui facevano esperienza quando i bisogni venivano immediatamente soddisfatti. Per chi guarda il pianeta dalla posizione depressiva non c’è niente da fare per migliorare l’ambiente circostante perché, tanto, il mondo dell’infanzia non ritornerà più. Inoltre non reagire alla catastrofe in atto “rassicura” sul fatto che non si avrà niente di positivo da perdere con la propria morte.

Nella regressione più profonda che conduce sino alla fase schizoparanoide il mondo viene percepito come scisso: c’è il pianeta buono, governato dalla natura benevola che fornisce tutte le risorse che nutrono e curano, e c’è il pianeta cattivo che punisce con le catastrofi e porta dolore e sofferenza. Nella teoria kleiniana la rappresentazione positiva del mondo viene accettata e trattenuta nella psiche, così la persona traumatizzata fa la fantasia di poter epurare l’esperienza salvandone solo la parte buona. Contemporaneamente si tenta di prendere le distanze dall’oggetto-pianeta-cattivo convincendosi di poterlo espellere dal proprio mondo interiore: salvo poi rendersi conto che non si è riusciti realmente a cacciarlo via e finendo per identificare persecutoriamente la parte negativa interiorizzata come l’aggressore.

Schematizzando: per i depressi Greta rappresenta l’evidenza del paradiso perduto, ossia l’orrenda malinconia dalla quale si difendono usando un massiccio investimento di difese inconsce; per gli schizoparanoidi Greta è l’oggetto-cattivo dal quale difendersi, che è stato cacciato dalla finestra e ora tenta di rientrare nella psiche con un’ascia come Jack Nicholson in Shining.

Quali sono i meccanismi di difesa che subentrano al verificarsi del trauma come descritto da Searles? Sally Weintrobe sostiene che quando ci confrontiamo con il cambiamento climatico, entrano in gioco tre differenti forme di rifiuto: Il negazionismo, il diniego e la negazione.

a) Il negazionismo, come applicato anche per eventi tragici del passato come l’Olocausto, consiste nella diffusione intenzionale della disinformazione per interessi politici, ideologici o commerciali. È una modalità difensiva organizzata e pianificata in termini grandemente cinici e la ritroviamo nelle campagne politiche o nelle schede esplicative che promuovono un prodotto, riducendo il valore o mettendo tout court in discussione le stesse scoperte scientifiche in tema di cambiamento climatico. Questo meccanismo presenta una complicità con la dinamica di cui abbiamo parlato per riferire come la collettività eviti la deriva isterica causata dai Chicken Little.

b) La negazione è una modalità di rifiuto che si costituisce come il primo stadio transitorio del lutto nell’accettazione di una realtà dolorosa, difficile da sopportare. L’individuo dice no alla realtà, ma non la distorce. Le persone riconoscono il fatto, ossia l’assenza dovuta dalla perdita, ma negano la sofferenza relativa (“non c’è più, ma me ne sono fatto una ragione”).

c) Il diniego, presente solitamente nelle psicosi, viene utilizzato quando il pericolo potenziale per il mantenimento della struttura psichica è estremo. Si tratta di negare i fatti che si presentano sotto i nostri occhi. Questa reazione è l’espressione di un processo arcaico radicato nell’egocentrismo del bambino, in cui l’esperienza è governata dalla convinzione prelogica che “se non lo riconosco non succede”. Ovviamente, l’uso massiccio del diniego produce conseguenze negative nei confronti della possibilità di risoluzione di un problema sul piano di realtà; per cui questo meccanismo è in genere altamente disfunzionale.

Allora come possono queste considerazioni psicoanalitiche tradursi in indicazioni pragmatiche, allo scopo di supportare le azioni di comunicazione sul tema, per limitare le reazioni di chiusura che rendono molti articoli giornalistici e report scientifici inefficaci?

Come gli analisti sanno bene non è possibile affrontare il trauma in maniera diretta e senza che si siano creati i presupposti favorevoli nella relazione con il paziente. Ad esempio Sandor Ferenczi parla della necessità di un ambiente analitico autentico e accogliente.

In un appassionato paper Clara Mucci esplora gli scritti di Elie Wiesel sull’Olocausto ed evidenzia come entrando empaticamente nel dolore degli altri, in quanto testimoni della loro esperienza, i sopravvissuti riescano a sviluppare la capacità di recuperare quelle parti della loro esperienza traumatica che sembrava cancellata, dissociata, scissa e disconnessa. Questo consente di generare, anche a livello sociale, una riparazione e un senso di rinascita.

Ingaggiare le persone significa trovare modi per connettersi e comprendere cosa il climate change e la degradazione del pianeta realmente significhi per loro, attraverso una modalità che supporti le loro angosce e paure di perdita e tenga seriamente in considerazione le soluzioni che hanno trovato per difendersi dalla realtà troppo pesante per essere sostenuta. Questo significa creare un contesto, in questo caso non terapeutico, accogliente.

Ferenczi (1980) fornisce una comprensione psicoanalitica di questo fenomeno, spiega come ricordando il passato si recuperano le parti relative all’aggressore interiorizzate dentro di sé. “Ripristinare la realtà nella memoria con le sue parti frammentate significa liberarsi dal persecutore interno che abbiamo scisso e interiorizzato, la conseguenza è essere finalmente liberi (sia per sé stessi che per le future generazioni)” (Mucci, 2017).

Potremmo chiederci come mai molte comunicazioni pubbliche sul climate change non provano a fornire un contesto contenitivo, non consentono cioè che le memorie e le emozioni frammentate vengano integrate. A questo punto resta l’altro aspetto da affrontare, sto parlando dell’autenticità (ricordate delle caratteristiche evidenziate da Ferenczi, quando parla di ambiente autentico e accogliente?) di colui che effettua la comunicazione. Se chi scrive le comunicazioni, o chi parla, non ha consapevolezza delle proprie parti scisse e dissociate connesse all’argomento trattato (climate change, ad esempio) non potrà presidiare questi punti di attenzione nell’atto comunicativo. Anzi rischierà di agire inconsapevolmente e provocare una involontaria ritraumatizzazione del lettore/ascoltatore.


  • Brenner I. (2019). Climate change and the human factor: Why does not everyone realize what is happening? Int J Appl Psychoanal Studies.
  • Ferenczi, S. (1980). Confusion of tongues between adults and the child. In M. Balint (Ed.), E. Mosbacher, TransFinal Contribu-tions to the Problems and Methods of Psycho-Analysis (pp. 156–167). London: Karnac Books. (Original work published 1933)
  • Mucci, C. (2017). Psychoanalysis for a new humanism: Embodied testimony, connectedness, memory and forgiveness for a “persistence of the human”. International Forum of Psychoanalysis.
  • Searles, H. (1960). The nonhuman environment in normal development and schizophrenia. New York: International Universities Press.
  • Searles, H. (1972). Unconscious processes in relation to the environmental crisis. Psychoanalytic Review, 59, 3.
  • Segal, H. (1988) Introduction to the Work of Melanie Klein. Karnac: London. Weintrobe, S. (Ed.) (2013).Engaging with climate change; psychoanalytic and interdisciplinary perspectives. Hove, England: Routledge.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *